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Raffaele Viviani

( biografia a cura del dott. Giuseppe Plaitano )

Vincenzo Gemito e Raffaele Viviani

All’amico Raffaele Viviani, nell’atto di perpetuare una grande amicizia  e con la creta compiere un’opera che valga a fondere ed immortalare due anime Napoletane e due volontà. 11 maggio 1926 Vincenzo Gemito (1)

“Io t’aggia fa na bella capa ‘e terracotta.
Chesta statua faciarrà addeventà statue a tutte l’ati statue”

Grande scrittore di teatro napoletano e grande attore in vernacolo, Raffaele Viviani in ogni dramma e commedia seppe trasfondere un’umanità infinita.
I suoi personaggi forgiati, con sottile ironia popolare, nella cruda realtà, attraverso il vero, talvolta deformato in grottesco arrivavano alla rappresentazione della “sua” realtà. Eduardo Scarpetta, assiduo frequentatore delle sue rappresentazioni, così scriveva: << Quelle brevi rappresentazioni, non si ascoltano, si vivono, e si vivono perché, ancora prima degli spettatori le ha vissute e sentite l’autore, le ha infine riprodotte con quella sincerità e semplicità che costituiscono il tono degli artisti veramente sommi >>. << Il riso addita e scopre sempre una piaga sociale! E’ un piccolo mondo in cui la comicità più schietta si fonde con l’osservazione arguta e profonda e l’ambiente dei bassifondi napoletani palpita nel più lieve dettaglio scenico. Sono tocchi di colore, sono scorci di figure umane, sono brandelli di vita messi a nudo. Si ride anche qui, ma fra il riso spunta, ad un tratto una lagrima, e il dramma infine prorompe con un crescendo ed una chiusa efficacissima >> . In morte del “maestro e dell’amico”, il grande Eduardo de Filippo scrisse con profonda commozione:  <<Pietra lavica di Napoli, cantucci bui e maleodoranti d’ogni angusto vicolo; antri squallidi e “vinelle” ingombre di rifiuti, resi ancora utili dal filosofico e geniale senso di adattamento della nostra povera gente; muri di tufo massiccio e salmastro, che vi chiudeste a scatola intorno alle campane di vetro coi santi, agli opachi letti di ottone, alle rose di carta velina, ai bicchieri dispari, alle forchette di stagno, alle sedie malferme, al palissandro tarlato dei comò traballanti: E’ morto Raffaele Viviani!… Io? Io, Raffaele mio sono rimasto per continuare ad onorarti sulle tavole, fino a quando avrò sangue e fiato… Ora Raffaele mio, Amico e Maestro, incontrerai il più dolente e santo degli “Scugnizzi”: Tu sai come si chiama: Egli ti verrà incontro con il braccio teso per imprimere con il pollice ferreo l’ultimo tocco alla tua grande maschera tragica>> ( 1)

Raffaele Viviani nacque a Castellammare di Stabia, il 09 gennaio 1888, fu battezzato il giorno seguente. Vi è da dire che in molti attribuiscono come data di nascita il giorno 10 fuorviati dallo stesso Viviani che scrisse testualmente in “Da la vita alle scene”  “Nacqui a Castellammare di Stabia la notte del 10 gennaio, all’una e venti di notte. Mio padre, Raffaele anche lui, era cappellaio...”. Va precisato che il vero cognome del commediografo era Viviano e, solo quando l’attore  napoletano divenne noto, il suo cognome d’origine fu mutato in Viviani, considerato dal medesimo Raffaele, più artistico e teatrale.  Il padre impresario teatrale dell’Arena Margherita, locale che si trovava a Castellammare di Stabia nei pressi dell’attuale Capitaneria di Porto, per un sequestro tributario al suo magazzino, il giorno dopo la sua nascita fu costretto a tornare a Napoli (città natale) con tutta la famiglia, e ad avviare una serie di collaborazioni con diverse compagnie napoletane in qualità di fornitore di costumi e attrezzi scenici. Il piccolo Raffaele era solito accompagnare il padre mentre lui lavorava in giro per teatri e compagnie. Fu così che una sera, nel teatrino di Porta San Gennaro, dove andava in scena un’operetta marionettistica dal titolo “Le cocotte o La bisca di Montecarlo”, in cui cantava come tenore e comico Gennaro Trengi, (che si ammalò), il proprietario dei “pupi” Aniello Scarpati, intuendo che il pubblico avrebbe preteso il Trengi…..o i soldi, ebbe l’idea di far cantare ‘o figlio ‘e Rafele.

o fracchetiell

Il piccolo Raffaele, abituato ad imitare il Trengi nei gesti e nella voce, lo sostituì.  Aveva solo quattro anni e mezzo, il successo fu strepitoso, anche la stampa si occupò del caso unico, la gente dai quartieri più lontani accorreva ad assistere alle esibizioni del bambino prodigio a tal punto che poco dopo venne affiancato da una duettista, Vincenzina Di Capua.

Viviani – Di Capua L’ufficiale e la vivandiera (1)

Ebbi ben presto anche una duettista, Vincenzina Di Capua, una bellissima adolescente… Ed io la corteggiavo, sia nelle vesti di monaco, nel duetto «Fra Bisaccia» che in quello di un ufficiale del settecento – il duetto «Un bacio rendimi…» […] – e, a stento, le arrivavo alla vita! Vincenzina, per darmi un bacio, in iscena, doveva piegare il busto in avanti…” (2) L’anno successivo nel 1893 debuttò in prosa al teatro Masaniello. In seguito cantò canzoncine da solo e duetti con la sorella Luisella.  Nel 1894, a sei anni debuttò in uno spettacolo di prosa nel dramma Masaniello, messo in scena nel teatro omonimo gestito dal padre presso Porta Capuana, e che nel 1895 si spostò nella zona della Marina.

Orfano nel 1900, fu costretto a lavorare, ed ebbe inizio il periodo più spietato della sua vita. La famiglia abitava in quel periodo in una stanzetta al Vico Finale del Borgo Sant’Antonio Abate, un quartiere che influenzò parte della sua produzione successiva. Nel 1902 entra nel “Circo Scritto” e l’anno seguente è con la “Compagnia di Varietà Bova e Camerlingo” in una tournée nel nord d’Italia. Nel 1904, riuscì a farsi scritturare al Politeama Petrella, dove interpreta per la prima volta una delle sue macchiette più riuscite: «’O scugnizzo». Nel 1906 è all’Arena Olimpia con la macchietta «Fifì Rino», un dandy aristocratico e senza scrupoli. Nello stesso periodo collabora con molte compagnie di Varietà nell’Italia settentrionale Milano (1906), ottiene un contratto della durata di un mese, presso la Gelateria Siciliana situata nell’Esposizione in Piazza d’Armi. Qui ha l’opportunità di recitare alla presenza del re Vittorio Emanuele III, a Genova (1907), Torino (1907), Alessandria (1907), Malta (1907). Tornato a Napoli, venne scritturato prima all’Eden uno dei maggiori varietà cittadini, dove il suo genere realistico impressiona presentando sei nuove composizioni che consacrano il suo genere, nato dall’ impegno e da uno studio della grammatica e della musica estremamente faticoso per uno  che poteva definirsi un illetterato. Poi passa al Teatro Nuovo, dove divenne popolarissimo, indovinando un successo dopo l’altro.  Questo fu un periodo di rilevante crescita artistica per Raffaele Viviani:  recita poi a Roma dove lavorò con Petrolini, allo Jovinelli e per il cinema in alcuni film di successo. Un’altra caratteristica saliente di Viviani è il rapido passaggio dalla macchietta a un solo personaggio (come ‘O Scugnizzo, ‘O Sapunariello, ‘O Pisciavinolo, ‘O Scupatore) a quella a più personaggi.

E’ il caso di Piedigrotta, che vede la luce al Teatro Nuovo nel 1908, in cui riesce a restituire in poco più di una trentina di battute «una vivacissima immagine del popolino partenopeo». I personaggi a cui l’attore presta voce sono oltre una dozzina: il capofamiglia, la vecchia, l’imbonitore da baraccone, il pizzaiolo, il posteggiatore, due innamorati, il monello, e persino un piccirillo … sperduto mmiez’ ‘a folla.

Locandina del 27 ottobre1920 Politeama Giacosa

Nel febbraio del 1911 al Fowarosi Orpheum di Budapest ebbe un’importante esperienza europea, dove però ottenne un tiepido successo. Tra il 1908 ed il 1912 interpreta  4 film muti :👉🏻 ” Il muto di Viviani “. Durante la Grande Guerra fonda una propria compagnia, richiamando molti suoi cari amici conosciuti sui palchi del Varietà, e che debuttò all’Umberto nel dicembre del ‘17. Da grande uomo di teatro, Viviani aveva fissato compiutamente non solo nel testo scritto, ma anche nelle didascalie e nella presentazione dei personaggi, la sua opera creativa. Egli odiava, infatti, ogni forma di faciloneria e di improvvisazione e, fin dall’inizio della sua attività nel teatro di prosa, impose a se stesso e agli attori della propria compagnia un rigore interpretativo e una fedeltà al testo scritto che erano assolutamente sconosciuti nel teatro napoletano di allora.  Era un regista esigentissimo, che non perdonava neanche il più piccolo sbaglio o una semplice dimenticanza. Gli attori erano tenuti a imparare le parti a memoria già durante le prove e neanche per la prima rappresentazione veniva consentito l’aiuto del suggeritore.

La Compagnia dev’essere un’orchestra bene affiatata alla quale non deve difettare nessuno strumento, onde chi maneggia la bacchetta possa ottenere gli effetti voluti; guai! Quando in una Compagnia serpeggia la discordia o chi dirige è fiacco di polso! Allora è presa la mano dai componenti stessi dell’orchestra a tutto danno dell’esecuzione, si capisce”. (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, cit., p. 133.)  Ed ancora : “I miei comici li ho scelti a preferenza non tra le vecchie file dei cosiddetti “passoloni”, ma tra i nuovi alla recita: per avere materia vergine, creta molle da plasmare, non credo alla valentia di chi fa il comico da quarant’anni. Chi è nuovo alle scene, vi porta sempre una freschezza propria, una sincerità non guastata attraverso lunghi anni di mestiere; il novizio vi porta sempre il suo vivo entusiasmo, la sua illusione intatta, il suo proposito aguzzo di arrivare”. (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, Napoli, Guida editori, 1988, p. 133-134.)

Manifesto de: L’Ultimo scugnizzo

Gli anni dal 1918 al 1920 sono quelli della stagione creativa più fertile di Viviani.  In quegli anni scrive e rappresenta con grande successo Tuledo ’e notte, Viviani compone versi e musica, traendo il titolo dal nome dalla grande arteria di Napoli Via Toledo,  che congiunge da nord a sud le due regge della città. Il lavoro nasce come ‘A notte, con il titolo definitivo e rappresentato per la prima volta al Teatro Umberto di Napoli il 7 ottobre 1918. E’ poi la volta di ’Nterr’‘a Mmaculatella, ‘O cafè ‘e notte e juorno, Piazza Municipio, Eden Teatro.

Piazza Municipio

E’ del 1918 una canzone ironica sugli imboscati. A parlare in prima persona è un gagà che ovviamente sceglie la bella vita ai “fastidi” del conflitto bellico. E’ la figura caratteristica non tanto di una jeunesse dorée napoletana (figli di papà), quanto di una classe sociale presente anche in altri paesi:  Riscattiam la nostra terra ,/ Viva il Re, viva la guerra,/ finchè l’Alpi avremo superate…/armiamoci…ed andate…/ Io vi seguo da lontano, sulla “carta” con la mano…/ l’anima è con voi,/ il corpo verrà poi…/ Espugnate intanto Trento e Trieste/ e ne frattempo, fo le richieste,/ e mi trovo per le feste…/ Per sfilare in mezzo a voi,/ fra la schiera degli eroi…/ E mi fascio pure un dito,/ fò la parte del ferito…/ Ostentando un sorrisetto, con due o tre mdaglie al petto…/ Con movenze marziali, marcio affianco agli ufficiali…/ Quando il plauso è manifesto, io ringrazio con un gesto…/ E dirò a chi fa – Vivooooo, – Beh, si fa quel che si può…/ Se non m’alzo a mezzogiorno,/ vedo schifo tutto intorno…/poi se faccio più di un passo,/ sento un peso verso basso…

Dal ‘20 comincia a portare le sue opere in giro per l’Italia, mettendo in scena spettacoli che gli permisero di acquisire prestigio a livello nazionale e non solo: due tragedie, I pescatori e Zingari, ma anche commedie come Napoli in frac, La festa di Montevergine, Vetturini da nolo, La morte di Carnevale e Putiferio.

La festa di Montevergine

Na scumma argiento, na Madonna nera
Cu ll’uocchie che te guardano, addo vaje.
Ovvero Santu Luca se spassaje:
nun ‘a puteva fa ‘e nata manera.
Te miette e lato e a guarde, ‘a stessa cera!
Pecchè succede chesto, nun ‘o saje
te scuorde ca è pittata, pare overa
E tuorne a gghì pa cchiesa, ‘a tiene mente,
e Chella sempe fissa ca te guarda

A festa e Montevergine

 

Don Vincenzino Putiferio

Don Vincenzino Putiferio

Raffaele Viviani in Don Vincenzino alias Putiferio, protagonista dell’omonima commedia. Guappo scartellato, Putiferio è in realtà un abile calzolaio che si è dato alla guapparia per “vocazione”. Ha una doppia gobba. Cammina con la testa fra le ascelle, credendo fermamente, oltre alla sua guapperia, al suo fascino. In foto nella sua casa-bottega di nelle vesti di calzolaio. Indossa il tradizionale grembiule di pelle di capra ed è intento a cucire una suola di una scarpa.Durante il corso della commedia inizierà il percorso di “conversione” del personaggio decidendo di riappropriarsi della sua vera identità e abbandonare il nomignolo di guappo.
“… M’hann’a chiamma’ Mastu Vicienzo! Da oggi in poi, faccio ’o scarparo e basta. Comme guappo songo io stesso ca ce tengo a fa’ sape’ ca nun vaco niente! Si veniveve poche minute fa, ’o ttruvaveve scritto pure for’’a puteca: “Putiferio nun va niente!”…
Me metto a fatica’ sul serio, pecche sulo cu ’a pace e cu ’a fatica, n’ommo pò pruspera’. Fore na bella mostra ’e cristallo: “Calzoleria”. Là, (indica la parete dell’uscio) la vetrina per l’esposizione. Qui sviluppo la lavorazione. (Indica il posto dove siede) Quatto operai finiti sotto la mia diretta sorveglianza, ’ncoppa, muglierema e mammema ca priparano ’o pranzo. È la vita che ci vuole pe’ n’ommo ca vò campa’ tranquillamente, rispettato, e cu l’ossa sane! “

Dopo Putiferio, nel ‘29, Viviani e la sua compagnia partirono per una tournèe di un anno in America Latina, riscuotendo notevoli approvazioni da pubblico e critica.
Ritornato in Italia, Viviani conquista definitivamente le platee nazionali con commedie come L’ultimo scugnizzo e Guappo ‘e cartone.

Guappo ‘e cartone

Avit’a vede’ ‘a malincunia ca ve scenne dint’ ‘o core
quanno, a primma sera, v’avit’a ritira’ dint’ ‘a cella vosta.
’O rummore d’ ‘o lucchetto d’ ‘a porta ca se chiude ‘areto ‘e spalle,
ve fa l’effetto ‘e comme si uno ve mettesse na chiave gelata,
a carne annuda, ‘areto ‘e rine.
E stu brivido ‘e friddo ve scenne p’ ‘e ccarne, e
nun ve fa piglia’ cchiú calore.
‘E mmane, ‘e piede se gelano, nun v’ ‘e ssentite cchiú.
E ‘o scuro d’ ‘a cella ve fa l’anema cchiú scura.
E chiagnite, chiagnite, chiagnite

Guappo e cartone

foto di scena del 1933 del II atto di “L’imbroglione onesto” / Anonimo

Nel ‘34 interpretò Don Marzio ne La bottega del caffè di Goldoni alla Biennale di Venezia e nel ‘36 andò in tournèe a Tunisi, riscuotendo in entrambi le occasioni un clamoroso successo. Dal ‘36 in poi Viviani fu pesantemente ostacolato dalla Direzione dello Spettacolo, ovvero dalla politica linguistica deliberata dal regime fascista, che voleva l’eliminazione delle lingue straniere (e dei dialetti) dal parlato e dai luoghi pubblici, a favore della lingua italiana. Viviani resiste e combatte, fa un film “L’ultimo scugnizzo” per la regia di Righetti.  Fu costretto a lavorare come interprete di opere altrui (La casa delle ortensie di E. Grassi; Il pazzo sono io di S. Ragosta; Miseria e Nobiltà di E. Scarpetta; Chicchignola di E. Petrolini).

Miseria e nobiltà

Una storica edizione di “Miseria e nobiltà” della compagnia di Raffaele Viviani. Viviani interpretava Felice Sciosciammocca, sua sorella Luisella il ruolo di donna Luisella e Vincenzo Scarpetta quello del cuoco Gaetano Semmolone( propr. Mario Scarpetta)

Nel ‘41 mise in scena Siamo tutti fratelli, una sua riduzione di un testo di A. Petito.
Fa ulteriormente conoscere Antonio Petito, interpretandone una commedia e indossando il camiciotto bianco di Pulcinella, recitando una serie di lavori al Teatro delle Palme a Napoli.

Pescatori

Gli ultimi dieci anni della sua vita furono segnati dal crescente avanzare della sua malattia, che ne limitò progressivamente l’attività e la produzione.  Il male ormai lo mina e soltanto per un breve periodo ritorna alle scene nel 1945 chiudendo definitivamente la sua carriera con “‘O vico” il suo primo lavoro. A questo periodo appartengono comunque opere significative (ma mai rappresentate) come Muratori (1942) e I Dieci Comandamenti (1947), quest’ultima scritta a quattro mani con il figlio Vittorio. Non si sottrasse nemmeno a un’importante esperienza radiofonica nel primo dopoguerra, con l’emittente “Rete Azzurra” (attuale RadioDue), per la trasmissione Voci e canti di Napoli.  Morì a Napoli il 22 marzo del 1950.

 

 
Tra il 1906 e il 1917, quando era artista di varietà scrisse duecentoventi componimenti scenici (prosa, versi, musica) pressoché inediti tranne “l’abituè dei concerti” e i canti contenuti in quattro fascicoletti.
Numerose le opere teatrali:

1917
‘O vicolo

1918
Via Toledo di notte
Piazza Ferrovia
Scugnizzo – Via Partenope
Scalo Marittimo
Porta Capuana
Osteria di campagna
Piazza Municipio
‘Nterr”a ‘Mmaculatella
‘A cantina ‘e coppo ‘o campo

1919
‘O Bbuvero ‘e Sant’Antuono
‘O caffè ‘e notte e juorno
Eden Teatro
Santa Lucia Nova
‘A Marina ‘e Surriento
Festa ‘e Piedigrotta
Caserta Benevento Foggia
Campagna napoletana

1920
La Bohème dei comici
Lo sposalizio
Il cantastorie (coll. A. Costagliola e R. Chiurazzo)

1921
Circo equestre Sgueglia
‘O fatto ‘e cronaca

1923
Don Giacinto

1924
‘A figliata
‘E piscatori

1925
Novantanove lupi (coll. O. Castellino)
Quello che il pubblico non sa (coll. M. Corsi e M. Salvini)

1926
Tre amici, un soldo
Pezzecaglie (coll. F. Paolieri)
Zingari
Napoli in frac
L’Italia al Polo Nord

1927
‘A musica d”e cecate
Putiferio
Vetturini da nolo

1928
‘A festa ‘e Montevergine
‘A morte ‘e Carnevale
Putiferio
Le ragazze restano per noi

1929
Nullatenenti

1930
Don Mario Augurio

1931
Il mastro di forgia

1932
‘O guappo ‘e cartone
L’imbroglione onesto
L’ultimo scugnizzo

1933
‘E viecchie ‘e San Gennaro
L’ombra ‘e Pullicinella

1934
Lanterna cieca

1935
Mestiere di padre
L’ultima Piedigrotta
Sartoria Romano (coll. C. Maurio)

1936
Il malato immortale (coll. Vittorio Viviani)
Quel tipaccio di Alfonso
La tavola dei poveri

1937
Socrate secondo (coll. Pio de Flaviis)
Il pazzo sono io (coll. S. Ragosta)
Padroni di barche

1938
A vele gonfie

1940
La commedia della vita

1941
Siamo tutti fratelli

1942
Muratori

1946
La tavoli dei poveri (coll. Vittorio Viviani)

1947
I dieci comandamenti (coll. Vittorio Viviani)

incompiute:
Cavalli e asini
Trovare un posto

 

BIBLIOGRAFIA
Per una maggiore conoscenza ed approfondimenti su Viviani, delle atmosfere della sua arte, del suo tempo, in rapporto con il teatro d’oggi, si consigliano:

Raffaele Viviani. Teatro (6 vol.) Guida (1987-1994)
“Dalla vita alle scene” Guida (1977)
Vittorio Viviani – Storia del teatro napoletano Guida (1969)
Trevisani Giulio – Raffaele Viviani – Cappelli (1961)
Attisani Antonio – Enciclopedia del teatro del 900 – Feltrinelli (1980)
Palermo Antonio Da Mastriani a Viviani – Liguori (1987)
AA.VV. – Incontri di studio su Raffaele Viviani – Edizioni Lan (1988)
Taviani Ferdinando – Uomini di scena, uomini di libro – il Mulino (1995)
Bottoni Luciano – Storia del teatro italiano (1900-1945) – il Mulino (1999)
Lezza A. – Scialò P. – Viviani Colonnese (2000)
AA.VV. – Teatro e drammaturgia a Napoli nel ‘900 – Fratelli Conte Editore
Morea D. – Basile L. – Storie pubbliche e private delle famiglie teatrali napoletane X-Press – Torre Edizioni
Contini – Paganini – Cafè – Chantant Bonechi
Paliotti Vittorio – La Macchietta – Bideri
AA.VV. La letteratura italiana (Novecento vol. XVI) Corriere della Sera
“Dopo Eduardo” Guida Editori
Angelici Franca Rasoi Bulzoni
Sant’ Elia Eduardo Il teatro a Napoli negli anni ’90 – Tullio Pironti Editore

(1) Onoranze a Raffaele Viviani – Comune di Napoli 1960
(2) Raffaele Viviani, Dalla vita alle scene, Napoli, Guida, 1988
Foto 1-2-3-4-5-6: Archivi di Teatro Napoli – biblioteca Lucchesi Palli
Foto A-B-C-D-E: Archivio G. Plaitano

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